Arcipelago Italia: parla Mario Cucinella

Pubblicato
03 Jul 2018

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Articolo di Valentina Lonati

È un omaggio alle piccole realtà urbane e rurali quello orchestrato da Mario Cucinella in Arcipelago Italia, il progetto espositivo del Padiglione Italia alla Biennale Architettura di Venezia. Un progetto che vuole invertire il senso di marcia dell’architettura contemporanea, rivolta verso le grandi aree urbane, e che riporta attenzione su quelle zone interne del paese escluse dai principali servizi e infrastrutture. Luoghi spesso “invisibili” e poco raccontati dai media, che rappresentano però il 60% del territorio nazionale nonché la spina dorsale di quell’eterogeneo tessuto culturale e paesaggistico che costituisce la ricchezza del nostro paese.

In Arcipelago ItaliaMario Cucinella accompagna il pubblico attraverso un itinerario alla scoperta di questi luoghi, mettendo in luce le eccellenze architettoniche che hanno saputo rispondere alle carenze strutturali e alle difficoltà del territorio, come lo sfollamento e i danni del terremoto. Un percorso alla scoperta della “buona architettura” italiana – in piena sintonia con il tema della Biennale Freespace – e di quei progetti che empatizzano con il territorio facendone emergere le potenzialità.

Per comporlo, Mario Cucinella ha individuato cinque aree strategiche dell’Italia – Gibellina, Camerino, Ottana, le foreste Casentinesi tra Emilia Romagna e Toscana e Matera con gli scali ferroviari di Ferrandina e Grassano – al fine di sviluppare edifici ibridi in grado di offrire soluzioni alle problematiche delle popolazioni locali. Punto di partenza sono stati proprio i cittadini, a cui è stato chiesto di descrivere come immaginano il futuro della propria città. A partecipare allo sviluppo delle strutture sono stati sei studi di architettura –  AM3 Architettura, BDR Bureau, Diverserighestudio, Gravalos Di Monte Arquitectos, MoDus architect, Solinas Serra Architetti – insieme a università, comitati scientifici, esperti di vari settori e alcuni fotografi, oltre allo staff di Mario Cucinella. Accanto a questi progetti, Arcipelago Italia ripercorre quegli interventi architettonici virtuosi realizzati nelle aree interne della penisola. Per comporre tale percorso, Mario Cucinella ha lanciato una call a cui hanno risposto più di 500 studi di architettura.

Abbiamo intervistato Mario Cucinella per capire come mai sia importante riportare attenzione sulle zone interne del paese e in che modo l’architettura possa diventarne l’elemento di rilancio.

Da dove è partita l’idea di Arcipelago Italia?
Il progetto nasce da una considerazione generale sul dibattito attorno alle grandi città metropolitane. In Italia, semplicemente, non ne esistono: Milano conta 1,3 milioni abitanti e Roma neanche 3 milioni. Grazie anche a Renzo Piano, che ha riportato al centro la questione delle periferie urbane, ho voluto proseguire il discorso estendendolo alle periferie dell’Italia. Più che in grandi agglomerati urbani, l’Italia si è sviluppata in una rete diffusa di cittadine e borghi che sono stati custodi della nostra cultura. Trovo sia inutile, in Italia, discutere sulle strategie per le grandi città. In Arcipelago Italia volevo parlare di come è fatta veramente l’Italia: un territorio molto particolare, che ha delle specificità tutte sue. Il mondo è diverso.

Secondo l’Onu, entro il 2050 due terzi della popolazione mondiale abiterà nelle grandi città. La sua analisi dell’Italia sembra suggerire il contrario.
Quando si parla della grande crescita urbana e delle megalopoli ci si riferisce spesso ai paesi asiatici o dell’America latina. Non si tratta di un fenomeno italiano. Certo, le città italiane crescono, ma non raggiungeranno mai le dimensioni di Bombay o Shangai, per il semplice fatto che noi abbiamo una cultura sociale diversa. Non sono quindi sicuro che questo trend investirà l’Italia. Anche l’Europa sta guardando a nuove tipologie di insediamento.

Anche la Cina, con il Padiglione curato da Li Xiangning, sembra voler spostare l’attenzione sulle campagne e le realtà rurali…
La Cina, che è stata risucchiata nel vortice della globalizzazione, sta vedendo nascere una nuova attenzione nei confronti delle zone rurali, dove si cercano le radici della cultura cinese. Questa tendenza è il risultato di un’eccessiva globalizzazione del mondo, che dal lato politico ha avuto come effetto lo scoppio dei nazionalismi. Si ripropongono i problemi identitari, che originano dal fatto che le persone non vogliono sentirsi tutte uguali. Del resto, è impossibile applicare un modello di città in tutto il mondo. Ogni realtà ha le sue problematiche, le sue particolarità.

Qual è il ruolo dell’architettura nell’offrire risposte alle specificità di un territorio?
Lo scopo di Arcipelago Italia è quello di far capire che l’architettura rappresenta un’operazione di rinascita di un paese o di una realtà rurale. È con edifici come scuole e ospedali che si costruisce una comunità. In Italia, però, negli ultimi anni si è investito molto poco nell’architettura.

Cos’ha scoperto dell’Italia grazie ad Arcipelago Italia? Cosa l’ha colpita maggiormente?
Mi ha stupito rendermi conto del fatto che siano rimasti solo gli architetti a prendersi cura del territorio. Sono stati loro a occuparsi di creare parchi, piazze e spazi comuni, di inserire contemporaneità in un contesto articolato e molto difficile come quello italiano. Ho visto molti architetti assumersi la responsabilità di migliorare l’Italia. Questo mi porta a pensare che se in Italia viene data la possibilità agli architetti bravi di lavorare, si possono creare cose meravigliose. Cose contemporanee, anche, che è quello che manca nell’immaginario di chi visita l’Italia. Tanti turisti vengono per vedere cosa abbiamo saputo creare secoli fa, ma anche per scoprire come esprimiamo la contemporaneità attraverso l’architettura. Forse, in Italia, crediamo un po’ poco nell’architettura come strumento di rappresentazione. E a non crederci è in primis la politica. Tanti sindaci vengono lasciati soli con i loro problemi. Con Arcipelago Italia abbiamo voluto dar loro una mano. Invece di lamentarci dell’incapacità della politica, abbiamo pensato di fare qualcosa di attivo.

Come ha selezionato i cinque luoghi protagonisti di Arcipelago Italia?
Come curatore ho dovuto fare delle scelte. Gibellina, Camerino, Ottana, le foreste Casentinesi e Matera rappresentano i nervi scoperti del paese: la produzione e la filiera del legno che ormai sta via via scomparendo, Camerino e il tema della ricostruzione, la valle del Basento con le sue periferie, Gibellina e il teatro di Consagra mai portato a termine, e poi la Sardegna con Ottana, esempio di un polo industriale che diventa un cancro ambientale e sociale. Il senso era quello di dire: lì ci sono dei problemi, non ce ne dimentichiamo. Ma anche: noi non siamo qui per dirvi che c’è un problema, siamo qui per dirvi che c’è una soluzione. Si può abitare la foresta, si possono creare spazi comuni a Camerino, si possono convertire gli scali ferroviari di Matera, si può portare a termine il teatro di Consagra e a Ottana si può realizzare una struttura per curare una popolazione sempre più vecchia. Le soluzioni si creano, basta volerlo.

Come può nascere un dialogo costruttivo tra architetti e le amministrazioni locali? E come si può includere la popolazione in questo dialogo? Le parla spesso di co-creazione.
Quella di Arcipelago Italia è stata un’esperienza formativa e pedagogica. Ho chiesto agli architetti che ho invitato a lavorare con me di non considerare i progetti come una cosa propria ma di condividerli in un processo collettivo, che coinvolge esperti della sanità, mobilità e dell’ambiente. L’architettura è il risultato di questo strato di competenze: da sola, non va da nessuna parte. Grazie alla collaborazione con Marianella Schiavi di Ascolto Attivo abbiamo incontrato la popolazione dei cinque luoghi dell’Italia che ho selezionato. Ci siamo seduti al tavolo con i ragazzi di Ottana, con le scuole della Basilicata, con gli ex abitanti di Camerino. Li abbiamo incontrati e li abbiamo invitati a raccontarci quali fossero le loro esigenze, di cosa sentissero la mancanza. A Camerino abbiamo organizzano sei incontri in tutto: abbiamo chiesto di scriverci una lettera su come si immaginano Camerino tra 10-15 anni. È successo qualcosa di molto bello: anche le persone colpite più duramente dal terremoto, senza più una casa, hanno dimostrato di avere una progettualità. Da qui è nata l’idea di creare spazi temporanei pubblici: le persone ci chiedevano luoghi in cui incontrarsi, in cui stare insieme. Luoghi in cui fare le cose semplici della vita. È questo che intendo quando parlo di politiche di ascolto. Ma l’ascolto, oggigiorno, non è cosa comune nell’architettura contemporanea. Tanti pensano che ascoltare e dialogare significhi incontrare la cittadinanza e spiegare nel dettaglio quello che faranno. Ma questo non è dialogare.

L’architettura è anche dare forma ai sogni…
Certamente. Faccio un’autocritica: negli ultimi anni, l’architettura si è chiusa in se stessa. Si specchia, si rimira e si giudica da sola, dandosi premi e riconoscimenti. Ma dov’è il contatto con le persone? Uscire da questo circolo è l’unico modo per ritrovare il senso del mestiere dell’architetto, che è meraviglioso. Gli architetti hanno una grande responsabilità nell’intercettare i desideri delle persone e nel trasformarli in qualcosa di concreto.

Come valuta l’esperienza come curatore? Cosa porta con sé di Arcipelago Italia?
È stata un’esperienza nuova, che ho affrontato con spirito progettuale. Ho seguito tutto il processo, dall’ideazione fino all’elaborazione dei progetti, ho viaggiato e visitato luoghi spettacolari, ho realizzato insieme alla Rai il Docufilm che introduce il percorso espositivo. Ho scoperto il nostro paese, che è unico al mondo, e l’ho raccontato così com’è. Quello che porto con me è la convinzione che sia davvero necessario focalizzarci sulle zone interne del paese. È da qui che può ripartire l’Italia.

 

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