Le piazze della sostenibilità. Il valore di Arcipelago Italia.

Pubblicato
24 Oct 2019

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Di Mario Cucinella per lo speciale del Correre della Sera dedicato alla cura e alla tutela del patrimonio artistico Italiano

Un viaggio collettivo nel nostro Paese, da (ri)scoprire con lo strumento dell’architettura: «Arcipelago Italia», il lavoro che sono stato chiamato a realizzare per il Padiglione Italia alla Biennale Architettura 2018, prima ancora di una mostra è stata un’esperienza illuminante per delineare un ritratto dell’Italia diffusa.

Abbiamo incontrato persone appassionate, desiderose di raccontare la loro storia e le loro ambizioni; lavorato con giovani architetti che hanno partecipato con grande energia a questa sfida. Fondamentale è stato il contributo di coloro che  hanno condiviso la loro conoscenza e ci hanno aiutato a far crescere i progetti sperimentali. Certo, ci sono  anche delusioni e difficoltà, ma è emerso  un po’ ovunque un grande desiderio di riscatto.

Ci hanno accompagnato i paesaggi: come le foreste casentinesi di 500 anni fa, oggi Patrimonio Unesco, i sotterranei di Camerino o l’inimmaginabile Cretto di Burri a Gibellina. Ci sono paesaggi duri, luoghi sfregiati dalla volgarità, ma anche custoditi da chi ha capito il loro fragile rapporto con la bellezza. Come la barista di Orgosolo che insieme ad altri cittadini dipinge storie sulle facciate della città. Sono le facciate ad ispirare i contenuti: come l’impegno politico contro il banditismo.

 A Gibellina ci siamo imbattuti in anziani diventati giovani artisti, eredi della felice stagione del sindaco Corrao. Abbiamo ascoltato dagli architetti la fatica di proteggere il valore  di un’opera architettonica  spesso sfigurata da decisioni pubbliche che ne negano l’integrità.

Con un treno regionale abbiamo attraversato la Valle del Basento insieme a Federico Parolotto e a  studenti pendolari  che ci chiedono di avere luoghi nuovi per crescere. Abbiamo camminato per Matera con Paolo Verri e ci siamo fatti accompagnare alla Casa Cava, uno degli spazi più belli che conosca: una cava verticale, dove è nata una sala conferenze scolpita, tale da far invidia a Frank Gehry.

Siamo stati invitati a mangiare in tanti luoghi. In Cadore, in una casa in legno del ’500, dopo una visita al Villaggio Eni: sul tavolo i prodotti di una cooperativa di immigrati con Claudio Agnoli a discutere di politica e dell’accoglienza di una comunità che, pur faticosamente, combatte i pregiudizi.  Un architetto straordinario come Edoardo Gellner aveva progettato il Villaggio Eni in ogni sua parte, ogni piccola finestra, stanza, bagno, sala comune. Rappresentazione della visione industriale e sociale di un uomo come Mattei, il Villaggio è anche la rappresentazione di un vero processo di sostenibilità: costruito su un pendio sassoso, si è trasformato in una nuova foresta secondo una precisa scelta progettuale.

«Cercavamo il deserto, abbiamo incontrato la foresta, luogo che ha protetto le nostre preghiere», ci ha detto don Roberto della comunità dei Camaldolesi. Che, come altri ordini, scrissero 500 anni fa un trattato sull’uso sostenibile del bosco, consapevoli della ricchezza da salvaguardare, ma allo stesso tempo dell’opportunità di generare micro-economie.

La velocità dell’economia fordista ha lasciato indietro queste terre, che oggi però ci raccontano una nuova e antica economia. Luoghi custodi del Dna del Paese,  di saperi e di economie ritornate in auge; luoghi alfieri della sostenibilità, protettori delle campagne coltivate, ovunque con fatica, ma con preziosi risultati; luoghi dove il tema dell’ecologia non si pone, perché sono loro stessi rappresentazione di un ecosistema a noi sfuggito.

Abbiamo, tra l’altro, visto crescere cinque progetti sperimentali di rilancio. Che nascono da desideri e bisogni, fanno ritornare utile il nostro lavoro e ci fanno ripensare  alla grande forza dell’architettura. Progetti che non rappresentano la continua attitudine a dominare la natura con artifici tecnologici, per il bene di pochi. Qui il rapporto cresce dal dialogo, dalle necessità di una comunità, dal desiderio e dalla capacità di esplorare in profondità lo straordinario legame  con il passato, senza negare la necessità di fare un passo avanti.

Ma  il viaggio non è finito. Comincia ora, comincia con la consapevolezza che questo Paese ha bisogno di cure e che dobbiamo lavorare sul nostro sistema urbano, unico al mondo. «L’Appennino come spazio urbano»: sono le parole di Fabio Renzi, segretario generale di Symbola. Con lui ne abbiamo parlato a Gubbio, in quella piazza meravigliosa che dice e racconta con la sua forma la forza di una comunità, l’operosità e il desiderio di costruire lo spazio libero. Oggi spesso sfugge l’importanza delle tante piazze italiane: su quello spazio si fondano i principi della nostra democrazia.

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