Arcipelago Italia… può cominciare!

Pubblicato
27 Nov 2018

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Di Alessandro De Bon

Arcipelago Italia può cominciare. Si, vero, la Biennale Architettura 2018 è finita […] ma questo Arcipelago è esattamente come l’architettura che ha provato a raccontare: inizia quando finisce. E a raccontarcelo è Mario Cucinella, curatore del Padiglione Italia. «L’architettura è così, è il momento finale di un processo che nasce dall’ascolto di un bisogno e finisce nella consegna della soluzione pensata per soddisfarlo. E proprio quando la consegni, e dunque hai “finito”, lei inizia a vivere. Così abbiamo immaginato e così sarà Padiglione Italia»

Che di architettura ne ha raccontato una in particolare.
«A mio avviso quella più vicina alla sua idea originale, sociale e aggregante. Abbiamo raccontato un Paese e spero innescato un processo, quello dell’architettura operosa. Un’architettura che ha capito di poter migliorare se lavora in collettivo. Forse è stata una novità in Biennale, ma abbiamo voluto raccogliere progetti, non nomi».

Concetto vs archistar?
«E’ un termine che nemmeno capisco, non trovo cosa ci sia di glamour nel nostro lavoro. Sicuramente però la comunicazione che l’ha creato ha generato un’idea di architettura che non mi convince, quella del fenomeno straordinario, dell’edificio esclusivo e costoso come unico traguardo. No, architettura è anche caserma dei pompieri, asilo nido e cimitero. La spettacolarizzazione dell’architetto ha avvicinato la nostra materia alla moda, al fashion, dimenticandone il ruolo sociale, che è fuori dal tempo, che non conosce “stagioni”, ciclicità».

Quindi, al bando le mode.
«Se butti l’architettura nel meccanismo perverso della stravaganza e del consumo rapido dimentichi ciò da cui nasce e a cui devi guardare: i bisogni della gente. Un bravo architetto non è solo quello che costruisce torri tra Singapore e Los Angeles, ma anche quello che ha capito di dover fare un intervento minimo e poi lo fa molto bene».

E ora?
«Certo, il futuro spaventa, ma il ruolo della politica è proprio quello di saper mostrare un futuro che non fa paura. Noi abbiamo raccontato un paese che reagisce, che ha una voglia e una visione di futuro più forte delle pressioni, delle difficoltà. […]».

Che rimane quindi di questo Arcipelago Italia?
«Abbiamo semplicemente raccontato come siamo fatti e come si può agire, ad esempio con l’edificio ibrido che in un piccolo paese sa essere ufficio postale, scuola, centro ricreativo, studio medico, museo: il luogo in cui la comunità si incontra e si riconosce, evitando di andarsene. Ora andremo avanti, operosi, in un percorso che dialogherà con aree che ne hanno bisogno, come le Dolomiti del dramma delle foreste, o la Sardegna inascoltata. L’architettura è rilancio del territorio. E’ sociale per natura, risolve temi, è lo Stato che si prende cura dei cittadini, che si accorge di loro, che gli presta attenzione».

 

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