Creatività e responsabilità di un architetto

Pubblicato
06 Dec 2018

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Articolo di Paola Estefanía Avilés Mora e Adriana Annauf Acevedo Valdés

La creatività è parte della storia dell’architettura

In occasione della Design Week Mexico 2018 di ottobre, l’architetto Mario Cucinella ha trascorso una giornata alla scoperta dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM). Accompagnato dai racconti di docenti e ragazzi, ha avuto l’occasione di confrontarsi con diverse realtà accademiche e scoprire la quotidianità del campus. Durante la visita ha tenuto una lectio presso la Facoltà di Architettura ed è stato intervistato dall’architetto Reynaldo Esperanza Castro, Docente di Architettura UNAM e da alcuni studenti sui temi che hanno accompagnato e caratterizzato la sua vita personale e professionale.
Ecco l’intervista.

Dal suo punto di vista, quanto è importante la sostenibilità in architettura e, nello specifico, nel suo lavoro?
«La sostenibilità è parte della storia dell’architettura, c’è sempre stata una relazione importante tra architettura e clima, tra architettura e luoghi. È sempre stato così e solo negli ultimi 200 anni, con la grande rivoluzione tecnologica, l’architettura ha perso questo rapporto ed è diventata un’architettura contro il clima, non per il clima. Per milioni di anni, gli esseri umani hanno dato vita ad architetture meravigliose in cui cultura e sostenibilità erano profondamente unite. Dico sempre che il cambiamento climatico è una questione importante, ormai evidente e che sol passare del tempo diventerà un tema sempre più difficile. Il cambiamento culturale dovrebbe portare i giovani oggi ad immaginare il futuro. Un futuro in cui gli edifici dovrebbero essere meno “pesanti” e consumare sempre meno energia. È una grande opportunità per riscoprire nella figura dell’architetto un ruolo molto rilevante nella società futura. Domani non avremo opzioni, domani sarà necessario costruire con pochissima energia prodotta da fonti rinnovabili. Per me, l’architetto dovrà diventare una figura completa, che sa costruire, che conosce l’ingegneria, che conosce le persone, che sa cosa vuol dire, che sa come si muove l’aria in un edificio, insomma, una persona che torna a essere quello di 200 anni fa, che sapeva come sono fatti gli edifici».

Secondo la tua esperienza, pensi che viaggiare sia importante per un architetto?
«Certo, un architetto ha bisogno di vedere l’architettura, il viaggio produce esperienze di vita, ed è necessario. Ho fatto un grande viaggio solitario in autobus all’inizio della mia carriera, in America, negli Stati Uniti. Sono andato a vedere il lavoro organico di Wright perché mi piaceva davvero ma non l’avevo capito a fondo e mi ha davvero impressionato. È stata una grande lezione. Queste cose che non riesci a capire nei libri, e grazie ai viaggi, a poco a poco le ho viste. Andare negli Stati Uniti è stato anche un modo per scoprire la mancanza di spazio pubblico, mi sono chiesto ad esempio come facessero senza spazi sociali come piazze o parchi, osservando ho però imparato tanto dalla loro visione. È importante viaggiare anche per andare a prendere parte del lavoro degli altri. Gli edifici sono una forma di educazione, parlano e raccontano storie».

Come ha usato l’esperienza di viaggio nel suo lavoro quotidiano?
«Quando progetti stai già viaggiando, perché tutti gli edifici che realizzi sono nuove avventure, nuove persone, nuovi posti, nuovi programmi; pertanto, alla fine, la carriera di un architetto è un grande viaggio. Un viaggio nel mezzo della storia, nel mezzo del paesaggio, e anche un viaggio nel futuro che da voce a quello che non abbiamo raccontato prima. Ho avuto la fortuna di lavorare un paio d’anni con Renzo Piano e ho fatto alcuni dei suoi lavori. Devi andare a bottega da coloro che hanno una visione perché così impari come si lavora, come pensano, come hanno organizzato il loro studio; questo aiuta a capire come non avere paura. E questo è un lavoro difficile, un lavoro che ha bisogno di coraggio. Gli architetti fanno cose meravigliose e allo stesso tempo cose enormi, bisogna essere consapevoli della responsabilità che si ha. Questo per me richiede tempo. Dopo 25 anni di lavoro, ho appena iniziato ad avere fiducia nelle mie capacità. Mi ci è voluto molto tempo e molto lavoro».

Finora, quale pensa sia stato il suo progetto più importante e che abbia creato l’impatto maggiore?
«I progetti sono un po’ come i bambini, sono tutti buoni. Mi piacciono tutti, ovviamente ce ne sono alcuni che hanno avuto maggiore importanza grazie al loro impatto sociale. Comunque, ripeto, mi piacciono tutti altrimenti non li avrei fatti. Per ognuno di loro ho fatto lo stesso sforzo, sia che si tratti di un piccolo edificio o di uno grande. In questo momento stiamo lavorando ad un un progetto che mi piace molto, e che mi ha anche emozionato particolarmente, è un museo archeologico. Non si tratta della mostra di oggetti, ma di raccontare una storia meravigliosa. In questo senso, credo che l’architettura possa fare la differenza, cioè, avere la capacità e le qualità di dar forma a storie meravigliose».

 

Articolo pubblicato sul giornale della Facoltà di Architettura UNAM Logo RepentinaUnam

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