Nell’era digitale la vera sostenibilità del business mette al centro le persone

Pubblicato
15 Apr 2019

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Articolo di Matteo Castelnuovo

[…] Un tema, quello della sostenibilità, che ormai è diventato fondamentale nel mondo delle aziende e non solo nel settore manifatturiero, designeristico o architettonico, che abbiamo voluto comprendere meglio insieme all’archistar Mario Cucinella […]. Un momento di confronto che ci ha permesso anche di riflettere su come si stia muovendo il mercato anche rispetto a quella reale esigenza di raccogliere, da una parte, la sfida proposta ormai 20 anni fa dal protocollo di Kyoto e, dall’altra, di rispondere agli obiettivi programmatici sul clima e le energie rinnovabili proposti dalle Nazioni Unite per il 2030.

Cucinella, partiamo da una curiosità che ci aiuti a comprendere lei come persona prima che come professionista. Proprio 20 anni fa anche lei fece una scelta importante in termini di recupero della sostenibilità scegliendo Bologna come sede della sua attività. Cosa la portò a questa decisione?
«Nei primi anni della mia carriera avevo deciso di trasferirmi a Parigi, forse spinto anche dal fascino della grande metropoli, ma dopo poco mi resi conto che la vita della grande città mi aveva concretamente affaticato, probabilmente anche a causa del modello di lavoro che questo tipo di agglomerati urbani propongono solitamente. Di fatto, però, non mi piaceva più quello stile di vita, così iniziai a guardarmi intorno, con la voglia di tornare in Italia e andare in un piccolo centro. Uno di quei luoghi nei quali ancora oggi mi piace vivere, perché ha la qualità della vita a misura d’uomo, dove puoi creare rapporti, scambiare due chiacchiere e ritrovare te stesso. Ho scelto Bologna perché trovo che qui ci sia uno “spirito dì vita italiana” che ogni tanto sottovalutiamo o di cui comunque tendiamo a dimenticarci. Quella vita quotidiana che ti fa sentire parte di qualcosa, dentro una comunità, e questo mi sembra una cosa molto bella e mi piace molto. Anche perché io passo la mia vita in studio e quando esco voglio potermi godere le ore che passo fuori in modo piacevole e più vivibile. Bologna è una specie di oasi urbana. Un luogo più umano e meno ostile. Basti pensare che dopo 10 anni a Parigi il portiere del mio palazzo non mi salutava nemmeno, mentre a qui dopo una settimana mi salutava anche il fruttivendolo. Una dimensione intermedia, insomma, che apprezzo molto e che poi risulta essere il valore che stiamo cercando di far riscoprire anche ai nostri clienti».

In che modo?
«Provando a ritrovare quella dimensione che va verso l’umano, lasciando quell’idea di metropoli che qualche anno fa sembrava la panacea di tutti i popoli e che oggi forse ci sta facendo pagare uno scotto inaspettato. D’altronde non si può vivere bene in un posto dove l’ostilità è all’ordine del giorno. I valori delle persone sono più importanti di quelli della tecnologia e questo è un assunto che troppo spesso non viene tenuto nella dovuta considerazione».

Qualcosa oggi sta cambiando, però, e anche le aziende iniziano ad avvicinarsi a questo approccio…
«Diciamo che questi nuovi modelli non nascono di loro spontanea volontà, ma sono una conseguenza del fatto che, da una parte, l’ambiente ci ha presentato un conto molto salato da pagare e, dall’altra, il grande sogno della tecnologia si è trasformato più che altro in un incubo. Così, forse e piano, piano, stiamo iniziando a capire che questo artificio su cui abbiamo cercato di basare la nostra vita negli ultimi anni non ha senso. Tutti hanno pensato per molto tempo a uffici smart e città smart, senza capire che noi non viviamo solo di tecnologia, ma anche di amore, rapporti umani, amicizia e stare insieme. Così abbiamo compreso che, da un lato, le situazioni ambientali che sono arrivate a un livello critico molto più importante rispetto a 20 anni fa e, dall’altro, questo sogno hi-tech anni ’80, alla “Blade runner” per intenderci, forse non ci hanno proprio fatto diventare migliori di come eravamo in passato. Secondo me, oggi, le persone devono tornare alle proprie origini e capire che la qualità della nostra vita viene prima di tutto. Bisogna puntare a un valore etico che metta al centro le persone e le valorizzi, creando attorno a questo concetto importanti progetti sociali, culturali e imprenditoriali, come alcuni stanno iniziando a fare»

Questi progetti, però, come aiutano concretamente il business di un’azienda?
«Il business, in fondo, è fatto da persone che lavorano tutto il giorno insieme in un posto di lavoro. Inoltre, l’ufficio di un’azienda oggi è anche lo specchio dei valori di cui essa si fa garante e promotrice. La cartina tornasole di cosa è e di cosa fa. Questi edifici oggi raccontano una storia d’impresa non solo alla città, ma anche proprio ai dipendenti e ai clienti che vivono quegli spazi, permettendo loro di comprenderne meglio le origini, l’attività e l’etica. Il fatto è che quando si crea un ufficio moderno bisogna mirare non solo a dare un senso tecnologico ed ecosostenibile al disegno che si ha in mente, ma anche un senso capace di contestualizzarsi nell’ambiente in cui si insedia, divenendo empatico e consentendo la creazione di relazioni e rapporti. Questi nuovi luoghi diventano anche proprio un mezzo di comunicazione, esprimendo la rappresentazione di una cultura d’impresa che non sia solo funzionale, innovativo ed esteticamente gradevole, ma che sia in grado anche di rappresentare la relazione di questa azienda con ciò che la circonda».

Come definirebbe sostenibilità nel business oggi?
«Un’attitudine di relazione al contesto con i propri dipendenti e con il contesto sociale in cui si immergono. Attraverso l’ufficio l’azienda deve parlare con le persone e offrire loro benessere, dare loro visione e costruire per loro benessere».

Quali sono quindi le caratteristiche che secondo lei deve avere un ufficio del futuro oggi?
«Oggi parlerei più di luoghi del lavoro che non di uffici. L’ufficio, in fondo, è un po’ come un vestito e rappresenta l’anima dell’azienda che lo indossa. Differenti aziende hanno differenti modelli organizzativi, lavorativi e relazionali. Quindi, oltre a essere tecnologicamente funzionale, un posto di lavoro oggi deve avere anche dei benefit funzionali a livello sociale, con luoghi dove creare relazioni, nei quali i dipendenti devono avere piacere ad andare. Negli ultimi anni si è dato per assodato il pensiero per cui un ufficio per appartenere al futuro debba avere una fibra ottica, il wifi, schermi ovunque e così via. A me, invece, piacerebbe che quando le persone parlano di ufficio del futuro pensino prima di tutto a un luogo funzionale da un punto di vista sociale e relazionale. Gli uffici di domani dovrebbero avere una tecnologia sempre meno visibile e, al contempo, dovrebbero essere sempre di più luoghi dove poter attivare confronti e dialoghi. Aspetti, questi, che non rappresentano proprio la direzione che si sta prendendo ora. Non basta, infatti, solo la tecnologia più innovativa per creare passione e creatività. Il valore umano è fondamentale. Purtroppo, in questo periodo mi capita troppo spesso di pensare che nell’equazione creata per migliorare la nostra qualità della vita abbiamo messo al centro la tecnologia, dimenticandoci invece che il cuore di tutto deve essere l’uomo».

Qual è l’aspetto più complicato da far capire alle aziende in questo contesto?
«Oggi possiamo dire che le aziende abbiano ben chiari i concetti necessari e legati alla sostenibilità e all’ecocompatibilità, anche banalmente per motivi legislativi. Quello che forse è un po’ più complesso è farli guardare al lungo periodo. Ovvero, aiutarli a pensare a come si vorrà questo ufficio tra 30 anni. Ma non è un rapporto conflittuale questo, bensì collaborativo. Ogni azienda è a sé stante e differente dalle altre, come dicevamo prima, con persone differenti che lavorano in maniera differente e con esigenze differenti, quindi noi cerchiamo di fargli capire quale sia la soluzione migliore per loro. Tutti poi parlano di ambiente, ma le aziende, come le persone, vanno capite e conosciute profondamente prima di poterle aiutare. In fondo, quindi, la nostra sfida è trasferire una conoscenza e ottenere questa stessa conoscenza dalle aziende per raggiungere il migliore risultato possibile».

Qual è quindi secondo lei la vera skill di un manager che guarda alla sostenibilità?
«Il manager della sostenibilità secondo me è un professionista che aiuta le aziende a entrare in un’altra era, un’epoca ecologica che punta non solo alla sostenibilità ambientale, ma anche al rapporto tra risorse e persone, cercando di eliminare le ineguaglianze e migliorare la qualità della vita del contesto che ha intorno a sé».

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