Ridare un senso umano al territorio

Pubblicato
27 Sept 2018

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Di Milene Mucci

Nell’affollata sala stampa del Festival della Mente, a Sarzana, i minuti per intervistare Mario Cucinella sono pochissimi per l’interesse che riserva il suo intervento, inserito nell’ambito degli eventi in programma per la kermesse, arrivata alla quindicesima edizione e dedicata alla creatività. Minuti in cui questo architetto italiano, […] , mi conferma prima di tutto la coesistenza delle caratteristiche con cui si definisce nel suo profilo Twitter: architetto ambientalista, tecnologo convinto e sognatore visionario, «Perché così deve essere l’architetto oggi. Questo il suo ruolo».

Un passaggio iniziale riguarda l’attualità dell’Articolo 9 della nostra Costituzionequello che tutela e protegge il paesaggio – e quanto questo richiamo sia disatteso e dimenticato e come, oggi, il nostro Paese abbia poche idee ma confuse, in merito sia alla sua valorizzazione che al trovare creatività e concetti da tradurre in progetti concreti per l’innovazione. Tutto ciò per l’inesistente senso di responsabilità, da parte del potere politico, nel lasciare il segno del proprio tempo e della propria cultura, mentre in Italia coraggio e creatività sono stati da sempre parte della nostra crescita culturale e artistica.
Ma per conoscere il lavoro di Mario Cucinella e il suo pensiero a largo raggio e autenticamente umanista, nel senso più completo della nostra tradizione, è necessario fermarsi e prendere tempo. Ascoltarlo mentre parla dei suoi progetti, della sua ricerca culturale, sociale e politica nel vero senso della parola, come qualcosa che ridia un senso anche umano al territorio, oggetto della sua attenzione.

Inizia così il racconto di “Arcipelago Italia”, il progetto realizzato per il Padiglione Italia della Biennale di Architettura, visibile all’Arsenale di Venezia fino al 25 novembre.

«Si è parlato spesso di metropoli che è un concetto forte, si è parlato di periferie – dice Cucinella – rimaneva un altro spazio, l’altro, tutto quello che non è né città metropolitana né periferia, tutto quello che è la gran parte del Paese. Il 60 per cento del territorio italiano è composto, infatti, da centri minori. È certo il luogo delle grandi foreste, dei grandi paesaggi ma è anche il luogo dove abitano venticinque milioni di persone, quasi un quarto, un quinto della popolazione. Il luogo dove è custodita una gran parte della cultura italiana». […] «Arcipelago Italia – spiega Cucinella – perché se vediamo al buio su una cartina tutto quello che non è né città né periferia, l’Italia appare come una arcipelago, appunto. Come fossero tante isole che, in fondo, è poi anche una metafora di quello che è stata l’Italia per molti secoli. Le città stato, di fatto, definivano le città che erano separate e che si sono fatte anche guerre fratricide. Con una competizione, un conflitto che, fra l’altro, è stato anche uno dei grandi motori del Paese dato che si è trasformato anche in una sfida continua. Uno dei temi meravigliosi che sottostà, per esempio, alla creazione e alla nascita delle piazze italiane è che le piazze sono state il primo segnale della libertà ritrovata dei cittadini. Nelle piazze ci si può riunire, si può discutere, così come il mercato è stata una delle grandi innovazioni di questo Paese. Quello che io volevo raccontare, in un luogo importante come la Biennale, è il rapporto territorio-città, molto diverso rispetto alle altre nazioni. Molto denso, molto vicino. Una sorta di rete di città collegate fra di loro».

Nel progetto […], le aree interne sono state definite come un grande spazio urbano, perché «in neanche venti, trenta minuti di spostamento, troviamo altri spazi, altre aggregazioni, un altro luogo, altri dialetti, come avviene non altrove». Insomma una grande rete di città, intervallata da spazi agricoli. Certo, vengono evidenziate nel racconto le differenze che ancora persistono fra nord e sud e che non sono state ancora colmate ma ciò che è stato importante in questa avventura, ci racconta, è stato essere il “curatore” di una storia che ha coinvolto anche altri soggetti, con i quali sono state individuate cinque aree del Paese che sono esempi di fallimenti ma alle quali guardare con ottimismo. «Le Foreste Casentinesi, le aree di Camerino, la Basilicata per gli scali ferroviari, la Sicilia per Gibellina, una opera incompiuta e la Sardegna con un’area legata alla salute. Abbiamo voluto, per queste cinque aree, raccontare cinque storie che poi sono la storia di cui il nostro Paese ha bisogno»

Perché l’Italia, ci dice Cucinella, ha bisogno di architettura, aggiungendo che, contrariamente a quanto si continua a dire, vi ha investito niente o pochissimo. Essendo un Paese che negli ultimi trent’anni non ha utilizzato l’architettura come forma di espressione perché qui «purtroppo l’Architettura è stata fatta molto male e l’ambiente ha pagato un prezzo durissimo». Di architettura, però, bisogna parlare perché l’architettura, per il nostro interlocutore, è anche un modo per rilanciare il territorio.

Affascinante è soprattutto la narrazione del modo in cui questo progetto è stato intuito e realizzato. Partendo non dalla scelta del cosa portare in un certo luogo e come, ma dal più umano metodo dell’ascolto, solo apparentemente semplice ed emotivamente utile. Ascolto dei «bisogni delle persone che in quei luoghi incontravamo ma anche, perché no, dei loro desideri». Lavoro di ascolto svolto con la sociologa Marianella Sclavi, esperta da trent’anni proprio dell’arte di ascoltare nonché della gestione creativa dei conflitti. «Questo perché l’architettura è il momento finale di un processo che è l’espressione dei desideri e di progettualità nuove». Da qui la volontà e la necessità di tornare a progettare anche edifici ibridi, luoghi multifunzionali, qualcosa che, alla fine, ritorni a stimolare l’essere e il fare comunità, spiega.

Un anno di lavoro intenso, questo raccontato da Cucinella, un viaggio affascinante attraverso quella che è certamente l’Italia più vera, quella finora dimenticata ma che regge comunque, a oggi, la struttura sociale del nostro Paese. […] Un viaggio, che ha la necessità di ricordarci l’importanza di tornare a sentirci una comunità di persone, in questa Italia che sembra condannarci, ormai, a provare bisogni individuali, con l’illusione che solo chiusi nelle nostre monadi, nei nostri luoghi, sia possibile trovare soluzioni. Arcipelago Italia […] e del suo staff ci ricordano, invece, che il futuro è altro, anzi, che già il nostro presente è altro. Perché, dice, non c’è un non fare che lascia indenne lo status quo, che non pregiudichi il nostro futuro, anzi. […] «Parlare del Futuro è stato importante. Perché è chiaro che il futuro non lo vedi ma lo puoi raccontare. Che è già un modo per vederlo. Ti dà già una strada». Chiarissimo ormai che il futuro si costruisce col fare nel presente, per questo architetto che non si può non definire umanista. «Anche io e lei qui, parlando di questo, lo stiamo costruendo». 

 

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