Una dimora fatta di 13 trulli «sono come organismi viventi»

Pubblicato
16 Aug 2021

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Cucinella, l’architetto della sostenibilità: il mio mese a Ceglie, fra orto e pietra un sano ridimensionamento personale

Di Alessandro Cannavò

«Il trullo per me è come il ventre materno». Mario Cucinella usa un’immagine ancestrale per lo stato d’animo che prova all’interno di queste inconfondibili abitazioni coniche, espressione pugliese della cultura vernacolare. «Un senso di protezione dato dalla muratura spessa, un rapporto fisico con la materia, senti la voce della pietra». Di trulli Cucinella ne ha tredici, tutti collegati tra loro, a Ceglie Messapica, terra brindisina ai limiti della valle d’Itria. Qui con la moglie Lin Liu passa l’intero mese di agosto che si conclude con il suo compleanno. Ma non bisogna pensare a una fastosa dimora. «Il perimetro complessivo esterno è di 32o metri, quello interno di 120. Ogni Cullo è una stanza dai 6 ai 12 metri quadri, grandi muri, piccolissime finestre. Me li proposero vent’anni fa mentre stavo progettando la stazione marittima di Otranto. Allora non avevo un soldo ma non ho resistito e in qualche modo li comprai. Non ci abitava nessuno da tempo. Negli anni `60 e `70 il trullo era sinonimo di povertà, le due famiglie che vi risiedevano prima avevano sostituito le tradizionali chianchie del pavimento con la graniglia e i finti marmi, avevano nascosto le volte con dei controsoffitti. Ho solo eliminato questi interventi per recuperare la bellezza austera originaria».

Il progettista riconosciuto internazionalmente (e pluripremiato) come l’alfiere della sostenibilità ambientale, vede nel trullo «una risposta alla scarsità delle risorse che conosceva bene chi ha abitato queste terre con il ritmo della campagna. Si dissodava un terreno aspro costellato da questi pietroni per avere un po’ di terra da coltivare, l’orto, il vigneto, l’allevamento di qualche animale. E si costruiva un’abitazione che è una macchina perfetta per la raccolta delle acque. Il trullo è la metafora di ciò che siamo chiamati a fare noi progettisti alla ricerca di un nuovo rapporto con il territorio e la penuria di risorse naturali». Per Cucinella i trulli sono solo il punto di partenza di una socialità territoriale in un susseguirsi di piccoli piaceri e di grandi amicizie. «Ceglie ha alcuni straordinari personaggi. Come Lillino e Angela, i ristoratori di Cibus, un posto conosciuto anche dagli stranieri, cucina pugliese rivisitata. Materie prime eccezionali, come le mozzarelle prese da Giuseppina o i carciofi di Peppino. Mi affascina la grotta naturale che usano come un frigo per i formaggi da stagionare. Cucina di terra, che si esalta negli antipasti, il grano arso, i lampascioni fritti, la carne di pecora e di asino difficile da trovare altrove. E poi la grande cantina dove spicca un vino rosso resuscitato, il Susumaniello».

Altri personaggi, i fratelli Nardelli, verdurai e fruttivendoli. «A una velocità straordinaria fanno delle composizioni di frutta caravaggesche». E poi gli amici otrantini per la tradizionale mangiata di ricci e di cozze pelose tarantine. «Ma tornando a Ceglie, ho un altro amico particolare: Luigi Ciciriello che possiede un garage di spettacolari auto d’epoca. Una volta non ho resistito e ho comprato da lui una Lancia Zagato del ’73, esempio di cos’era il car design italiano di quegli anni. L’ha chiamato il Garage innamorato e ora ha trasformato anche un anonimo bar di Ceglie diventato L’innamorato Caffè. Dà l’idea della passione di queste persone per le cose belle e un particolare senso estetico: legati al territorio ma ben informati sulle riviste di design. E il grande riscatto di un paese come Ceglie».

 La ritualità qui ha il calendario degli appuntamenti religiosi e della natura. «Domani ci sarà la festa patronale di san Rocco con la sontuosa architettura delle luminarie; in questo mese raccogliamo i frutti dell’orto, pomodori, melanzane, zucchine, incredibile quanti prodotti possa dare un pezzo di terra: sarà una menata preparare 250 barattoli di passata ma quando a gennaio a Bologna senti quel profumo capisci che ne è valsa la pena; in autunno vengo per la raccolta delle olive; in primavera sarà il tempo di ridare la calce al trullo, accecante quando soffia la tramontana, più opaca se c’è scirocco: un organismo vivente. Insomma, devo essere grato al trullo perché mi fa ritornare con i piedi per terra. Un sano ridimensionamento personale».

Dopo gli amici, dopo l’orto, rientrando in quel «ventre materno» Cucinella si rifugia nella lettura. «Ho portato Futuromania di Simon Reynolds sulle visioni della musica elettronica degli anni 70; e una serie di saggi sul filosofo Edgar Morin. E poi scrivo, un altro modo di approfondire il mio lavoro, attivando l’immaginazione, raccontando storie. Senza le storie di chi ci abita l’architettura è inerte. E niente».

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